Nel suo libro "L'ideale" Piero Bargellini dedica una parte significativa alla riflessione sul lavoro, esplorandone il ruolo fondamentale nella vita umana. Egli ripensa il lavoro non solo come mezzo di sussistenza, ma come espressione di creatività, dignità e realizzazione personale.

Attraverso il lavoro l'uomo partecipa alla creazione continua nel mondo. Ogni attività, dalla più umile alla più complessa, offre l'opportunità di contribuire al cambiamento dell'ambiente in cui viviamo. In questo senso, esso diventa un atto creativo, un modo per lasciare un'impronta all'interno della società. Bargellini, dunque, invita i lettori a considerare il proprio lavoro non solo come un dovere, ma come una chiamata a realizzare il proprio potenziale. Questo concetto vocazionale trasforma anche le fatiche e i sacrifici del lavoro in un'occasione di continua crescita in cui poter trovare soddisfazione e dare significato al nostro esserci. Ben oltre la dimensione materiale, l'impegno professionale è ripensato come una componente essenziale dell'esistenza umana che consente a ciascuno di realizzare i propri ideali ed esprimere la propria umanità. 

«Attraverso il sudore, l'uomo deve ancora vedere la bellezza del lavoro, come attraverso le stille della pioggia si forma la consolante visione dell'arcobaleno. C'è, a questo proposito, l'esempio di tre differenti risposte, date da tre uguali lavoratori, ai quali venne chiesto che cosa facessero. “Non lo vedi – rispose il primo, curvo e sudato sotto il peso d'una grossa pietra – sudo e fatico in questo durissimo lavoro”. Il secondo, rialzandosi sulle reni dolenti, “Lavoro – disse – per guadagnarmi il pane quotidiano e mantenere con stento la mia famiglia”. Il terzo, volgendo lo sguardo al lavoro già compiuto, per quanto anch'egli stanco e sudato, ebbe la forza di un sorriso di compiacimento. “Ecco – rispose – stiamo costruendo una bella cattedrale”. Il primo non sentiva del lavoro che l'aspra condanna della fatica. Il secondo sentiva nel lavoro il prezzo del proprio sudore, per il dovere di guadagnarsi da vivere e di mantenere la propria famiglia. Ma il terzo, più fortunato dei suoi compagni, pur avvertendo la fatica, pur apprezzando il guadagno che ne derivava, era ancora capace di percepire la bellezza dell'opera alla quale contribuiva col proprio lavoro. Egli vedeva, con intima gioia, crescere dinanzi a sé una bella cattedrale; e sono tutte cattedrali le opere del lavoro, anche le più modeste, anche le più vili, quando siano rese sacre dalla coscienza di compiere una missione»



Marta

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